REATO diffamazione su facebook e il rischio di carcere
Potrebbe non rischiare più il carcere chi scrive affermazioni che integrano il reato diffamazione sul social network Facebook.
Una coppia di coniugi di Roma, durante la causa di separazione se le sono “date di santa ragione” fino a «portare» il popolare social network fino in Cassazione. Ma presto ci si aspetta un cambio di rotta da parte dei giudici. Fino ad oggi, infatti, di queste controversie su Facebook se ne occupava il Tribunale, ritenendola una forma di reato diffamazione aggravato, con conseguente possibilità di applicazione della detenzione in carcere. Recentemente la Cassazione è stata chiamata a valutare se sia da considerare come reato diffamazione «semplice», quindi di competenza del giudice di pace che può applicare solo multe. Tale cambio rappresenterebbe una depenalizzazione. Il processo, in cui sono coinvolti i coniugi romani, venne incardinato inizialmente davanti al giudice di pace che però aveva dichiarato la sua incompetenza ritenendo il reato diffamazione su Facebook aggravata dal mezzo della pubblicità e quindi di competenza del tribunale. La domanda fondamentale è: deve essere punita con o senza il carcere? Lo deciderà la Corte di Cassazione. I giudici saranno chiamati a decidere sulla querela della moglie. Il fatto che la diffamazione a mezzo facebook sia considerata aggravata o meno è molto rilevante. Infatti mentre il giudice di pace applica soltanto delle multe, il tribunale può anche infliggere il carcere e nel caso di reato diffamazione aggravata, la reclusione sarebbe da sei mesi a tre anni. Il reato diffamazione è punito con il carcere quando viene commesso con un mezzo di pubblicità. Tutto ruota, di conseguenza, intorno al significato di ‘mezzo di pubblicità’. Facebook non può essere paragonato a un blog o a un quotidiano online, visionabile da chiunque sulla rete. Il più famoso dei social network prevede che l’utente debba preventivamente iscriversi, creare un proprio account e che i post successivamente pubblicati vengano condivisi soltanto con gli ‘amici’. Mancherebbe perciò il requisito tipico dei cosiddetti mezzi di pubblicità, ossia che le frasi offensive possano essere visionate da una pluralità indeterminata di soggetti.