Chi decide in sala operatoria?
La Cassazione si pronuncia su un problema assai frequente: chi decide in sala operatoria, e stabilisce così lo stop all’anarchia.
Nelle sale operatorie il capo dell’equipe chirurgica ha l’ultima parola, quindi se non condivide le scelte degli altri specialisti, è obbligato a fermare i colleghi. La Cassazione spiega che in sala operatoria il primario chirurgo deve imporre le proprie scelte se ritiene che un collega (in questo caso un anestesista) stia sbagliando e possa nuocere al aziente. La Suprema Corte ha così confermato la condanna per omicidio colposo a carico di un chirurgo, ritenuto colpevole di non essersi avvalso “dell’autorità connessa al ruolo istituzionale affidatogli” (di capo dell’equipe) e di non aver bloccato l’anestesista, che aveva deciso di praticare una anestesia generale con curaro su una ragazzina per recidere un ascesso alla gola. Il chirurgo si limitava a manifestare la sua contrarietà ma lasciava comunque la scelta finale al collega, ma così ci sarebbe una sorta di “anarchia”. “Il lavoro di equipe vede la istituzionale cooperazione di diversi soggetti, spesso portatori di distinte competenze: tale attività deve essere integrata e coordinata, va sottratta all’anarchismo. Per questo assume rilievo il ruolo di guida del capo del gruppo di lavoro. Costui non può disinteressarsi del tutto dell’attività degli altri terapeuti, ma deve al contrario dirigerla, coordinarla”. Il capo dell’equipe deve valutare gli effetti delle scelte degli altri camici bianchi in sala operatoria confidando nella loro specializzazione.
Responsabilità senza limiti? No. La sua responsabilità viene meno nel caso in cui “sia in questione sapere altamente specialistico che giustifica la preminenza del ruolo decisorio e della responsabilità della figura che è portatrice delle maggiori competenze specialistiche”. Quando l’errore è riconoscibile perché banale o perché coinvolge la sfera di conoscenza del capo equipe, questi non può esimersi dal dirigere le azioni ed imporre la soluzione più appropriata, sino anche a bloccare l’intervento. Corte di Cassazione, sentenza n. 33329\2015.