Dall’investigatore ai parenti, le prove “lecite” dell’infedeltà
Dimostrare al Giudice un tradimento sarà più facile, da oggi in poi. Se era stato ritenuto legittimo il ricorso alla relazione dell’investigatore privato sia nelle cause di separazione, che in quelle tra datore di lavoro e lavoratore oggi arriva la pronuncia che rende lecite le testimonianze “de relato”. Potranno essere utilizzate le dichiarazioni dei parenti del coniuge tradito anche quando non hanno avuto conoscenza diretta della relazione adulterina, ma ne abbiano “sentito parlare”: “Lo so perché mi è stato detto da…”, un’affermazione del genere non potrebbe mai avere alcun valore di prova nel processo civile. La testimonianza può concernere solo fatti di cui il testimone abbia avuto conoscenza diretta. Proprio in una materia così delicata come i rapporti familiari, i tradimenti e le relazioni adulterine, c’è il modo di far entrare nel processo la testimonianza “per sentito dire” (cioè su fatti riferiti da qualcun altro). È questa la convinzione della Cassazione, versata in una sentenza del 2014: si può provare la relazione fedifraga del coniuge facendo testimoniare i parenti di quello tradito, che hanno una conoscenza solo indiretta dei fatti, perché riferiti loro proprio dalla stessa parte in causa, vittima della vicenda. E così, sulla base di tali deposizioni, il tribunale può addebitare al “traditore” la separazione (cosiddetta separazione con “addebito”), con tutte le relative conseguenze sul piano economico (assegno di mantenimento ed eventuale risarcimento dei danni). La testimonianza indiretta può “assurgere a valido elemento di prova quando sia suffragata da circostanze, oggettive e soggettive, a essa intrinseche o da altre prove acquisite al processo che concorrano a confortarne la credibilità”. Quindi se quanto riferito dal teste appare credibile il Giudice può prenderne atto e dichiarare l’addebito.