Offende il capo? Non può licenziarlo!
La Cassazione ha dichiarato illegittimo il licenziamento del dipendente che offende il capo in un atto difensivo. Non costituisce illecito disciplinare né fattispecie determinativa di un danno ingiusto – grazie alla scriminante ex art. 598 co. 1 c.p. – attribuire al proprio datore di lavoro, in uno scritto difensivo, atti o fatti, anche non rispondenti al vero, concernenti in modo diretto ed immediato l’oggetto della controversia, ancorché tale scritto contenga espressioni sconvenienti od offensive (soggette solo alla disciplina prevista dall’art. 89 c.p.c). Lo ha deciso la Cassazione, dando ragione al dipendente di una banca che aveva impugnato il licenziamento disciplinare intimatogli per avere “diffamato” l’istituto affermando di non aver ricevuto un preavviso di revoca relativamente all’opposizione ad un’ordinanza ingiunzione e per aver emesso un assegno bancario su un conto corrente chiuso. La Corte d’appello aveva confermato la legittimità del licenziamento ritenendo sussistente il danno all’immagine a carico dell’istituto di credito addebitandogli la condotta in quanto dipendente dello stesso, laddove, invece, le sue asserzioni non potevano essere considerate diffamazione poiché contenute in uno scritto difensivo e, quindi, avvenute al di fuori dell’esercizio delle mansioni. Per la Suprema Corte il motivo è fondato. Alla condotta rimproverata al dipendente è applicabile, infatti, secondo la Cassazione, la causa di giustificazione ex art. 598, 1° co., c.p., che costituisce applicazione del più generale principio dell’art. 51 c.p., poiché “le frasi ritenute diffamatorie concernevano in modo diretto ed immediato l’oggetto della controversia (vale a dire l’insussistenza degli estremi dell’illecito amministrativo di cui all’art. 28 d.lgs. n. 507/1999) ed erano funzionali alle argomentazioni svolte a sostegno della tesi difensiva prospettata”. Tale scriminante di portata generale – ha spiegato la Corte – è pacificamente applicabile anche al contenuto di scritti difensivi relativi a giudizi civili e a maggior ragione nel caso di specie, in cui le affermazioni ritenute non veritiere si rinvenivano in uno scritto difensivo. La Corte ha concluso accogliendo il ricorso e cassando la sentenza con rinvio, non è da ritenersi sussistente nella condotta addebitata al lavoratore “neppure un’astratta potenzialità lesiva in termini di danno all’immagine della società”.